Odio, amore e amicizia.
Indice:
1-FRANCESCO ALBERONI (Odio Amore e Amicizia)
* Come distinguere un amico vero da uno falso
* Quel capriccio che spinge all'avventura e all'infedeltà
* Nella bufera dell'amore si misura il valore di una persona .
* La bellezza, quell’emozione interrotta e struggente
* In molti pensano che l'amore sia potere, purtroppo ....
* Amore e guerra: non serve un nemico per essere generosi con gli altri.
* Non basta un colpo di fulmine per arrivare al grande amore.
* Perché riusciamo più facilmente ad amare chi ha bisogno di noi.
* Seduttori e seduttrici: ce ne sono due tipi, ecco la differenza.
* Meglio perdonare che vendicarsi, se c'è davvero rimorso.
* L'amore di coppia, pilastro dell'Occidente, conquista il mondo .
* Che cosa si impara all'affollata scuola dell'odio.
* Amore e guerra: non serve un nemico per essere generosi con gli altri.
* L'Amore e' esclusivo o non e'. E se muore, rinasce malato.
* Tenere in vita una coppia ? Lo sanno fare solo le donne.
* Il coraggio va coltivata e in due diventa piu' semplice.
**-Note sugli scritti qui contenuti.
* Note
Tratto dal Corriere della Sera, in data 1 luglio 2002
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
www.corriere.it/alberoni
Ci sono delle persone che hanno il dono di avvicinarci, di suscitare in noi interesse, un sentimento di amicizia, di riconoscenza, il desiderio di aiutarle e che, una volta ammesse, accettate, si dimostrano estremamente esigenti, tiranniche, alla fine spietate e pericolose. Ricordo un tale che per anni, addirittura per decenni, mi ha sempre telefonato il giorno del mio compleanno, per Natale, affettuoso, gentile, allegro, entusiasta, finché, al maturare di certe circostanze, ho trovato il modo di farlo venire accanto a me, pensando di aver trovato un collaboratore e un amico. Non appena arrivato ha incominciato ad ossessionarmi con progetti, richieste perentorie, rimproveri. E ricordo, con stupore e sgomento, il periodo in cui ero ammalato quando, anziché rispettare il mio bisogno di tranquillità, mi ossessionava con continue proteste.
Questi personaggi vischiosi si presentano come amici di lunga data, su cui potete fare totale affidamento. E, per qualche tempo, si comportano in modo generoso, creando in voi un debito di riconoscenza. Nello stesso tempo, però, si convincono di aver acquistato dei diritti e di poter pretendere, in cambio, ogni tipo di favore. Avendo dato all’inizio, si sentono dalla parte della ragione, qualunque cosa chiedano. Non lo fanno per malvagità, per danneggiarvi. Ma sotto la spinta di un egoismo primitivo, che cresce non appena viene soddisfatto. Sono, di solito, persone molto ambiziose e frustrate, con delle debolezze nascoste, qualche spunto paranoico e che si sentono in pericolo. In voi vedono un possibile appoggio, un alleato, una forza su cui contare, un mezzo per accrescere il proprio potere. E si aggrappano con la forza e la voracità di un bambino affamato o, se volete, di una sanguisuga.
L’atteggiamento amichevole, cordiale, affettuoso del personaggio vischioso è strumentale. E’ uno pseudo-amico, non un amico. L’amico infatti vi capisce, vi rispetta, è prudente, si preoccupa della vostra salute, partecipa ai vostri problemi, si mette dalla vostra parte, vi protegge. Non vi ossessiona, anzi vi rasserena. Il vischioso invece, appena lo aiutate, pensa solo a se stesso e non ha nessun ritegno a esercitare su di voi pressioni, ricatti fino a diventare ostile, brutale.
Come fare a distinguerlo subito dal vero amico, prima che sia troppo tardi, prima che si insinui nella vostra vita? C’è un metodo sicuro: osservare attentamente il suo comportamento e studiare in modo obiettivo le vostre reazioni. Fin dall’inizio vi sta appresso, vi tallona, vi chiede appuntamenti, vi telefona in continuazione, anche nelle ore più inopportune. Il vero amico non lo fa perché non vuole disturbarvi. Il vero amico vi domanda se siete occupato, vi chiede scusa, si preoccupa della vostra stanchezza, fa telefonate brevi. Il vischioso chiama, insiste e vi opprime tanto più quanto più percepisce che siete debole. Vi stordisce, suscita in voi angoscia, dandovi l’impressione di essere il solo che può aiutarvi. Ricordo un personaggio di questo tipo, un vero delinquente, che aveva preso di mira un ricco imprenditore di salute malferma. Era sempre a casa sua e telefonava in continuazione a lui e alla moglie. Li ha inseguiti giorno e notte fino a che non è riuscito a controllare la loro mente. Ha gettato i due disgraziati in uno stato di ansia paranoica che ha tolto loro ogni capacità di giudizio. Risultato: si è impadronito della loro impresa.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 10 febbraio 2003
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
www.corriere.it/alberoni
Che cosa ha sempre spinto gli uomini sposati, con figli, con responsabilità, a cercare avventure erotiche pericolose, talvolta catastrofiche? Che cosa ha spinto molte donne sposate a rischiare di venir uccise per un’accusa di adulterio? Noi immaginiamo che ci sia alla base un qualche motivo grave, una profonda insoddisfazione del matrimonio, oppure un grande amore appassionato. No, di solito non è l'amore, non è la disperazione. E' un motivo più futile, un piacere più capriccioso, gratuito. E' il gusto del nuovo, della diversità, della sfrenatezza, del gioco, una spinta primordiale e irrazionale. E' stata questa oscura forza che ha affascinato Freud e l'ha spinto a porre la sessualità alla base delle attività umane. Perché gli pareva la potenza più difficilmente disciplinabile, più indomabile e capricciosa. Eppure questa stessa sessualità ha la misteriosa potenzialità di legare. Ogni incontro erotico, anche un semplice sguardo, un desiderio che ci scuote, una frase di corteggiamento, il fugace contatto con la mano, con il braccio, con il corpo dell'altro, è il potenziale inizio di qualcosa di diverso. Ha in germe una possibile relazione, un possibile amore, quindi una possibile nuova vita. E questo ogni tanto avviene. Nell'innamoramento.
Quando siamo pronti a cambiare, quando siamo maturi per una nuova esperienza di vita e incontriamo una persona che simbolizza la strada che possiamo seguire, si mette in moto questo processo.
Il vero innamoramento, anche se incomincia come colpo di fulmine, anche se parte da una chat o da un fortuito incontro erotico, tende a fondere non solo i corpi, ma anche lo spirito dei due innamorati e a creare una nuova comunità che organizza attorno a sé la vita sociale e affronta unita e solidale il mondo. Nell'innamoramento la sessualità raggiunge il suo massimo ma, da potenza errabonda e capricciosa qual era, muta natura, diventa esclusiva.
L'innamorato ama solo quella persona specifica e vuol essere amato da lei nello stesso modo assoluto ed esclusivo. L'espressione «ti amo» vuol dire: «Amo solo te e amerò solo te per sempre». L'innamoramento produce un patto, implicito o esplicito, di esclusività. E' questo patto la sorgente della gelosia erotica. Io sono geloso di chi si è impegnato a volere solo me e, invece, si concede ad un altro. Lo stesso per il tradimento. Tradisce chi viene meno ad un impegno preso.
Nelle società dove il matrimonio non è basato sull'innamoramento, ma sull'accordo fra famiglie, c'è solo l'obbligo della fedeltà femminile per timore che abbia un figlio da un altro. Per il maschio nulla. Dove vale la poligamia o sono ammesse concubine troviamo invidia per la posizione di privilegio o di potere, ma non gelosia erotica. E' solo in Occidente, dove il matrimonio viene basato sull'innamoramento, che la più lieve infedeltà sessuale provoca una gelosia erotica tanto forte da mettere in moto il divorzio.
Ma la nostra società, proprio mentre fonda la coppia e la famiglia sulla fedeltà amorosa, dimentica l'insegnamento di Freud sulla potenza capricciosa ed insidiosa della sessualità. Ostenta la sessualità, la stimola, la promuove con tutti i mezzi. Per di più legittima tutte le forme di infatuazione, anche quelle senza consistenza e destinate a svanire in brevissimo tempo. Il risultato è che la coppia fondata sulla fedeltà esclusiva, continuamente attaccata, insidiata, erosa da ogni parte, spesso, ad un certo punto, esplode.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 13 gennaio 2003
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
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L'innamoramento è la fuoruscita da una situazione di prigionia, di costrizione, in cui ci siamo intrappolati da soli. Una corsa fuori e in avanti per realizzare delle nostre potenzialità inespresse, per inserirci più pienamente nella vita sociale e nello spirito del tempo. Per questo ci innamoriamo nei periodi di cambiamento della nostra vita, quando andiamo all’università, quando cambiamo lavoro, città, Paese. Allora il vecchio mondo ci diventa stretto e lo slancio vitale ci porta a cercare, senza che ce ne rendiamo conto, la persona che può accompagnarci nel nuovo viaggio. La riconosciamo da segnali, da gesti, comportamenti che scatenano in noi desiderio, gioia, sogni, vita, speranza. L'innamoramento è, perciò, una modalità della crescita, dell’adattamento al nuovo. Una modalità violenta, perché comporta una rottura di rapporti duraturi, consolidati. Ma che ha, al suo interno, una profonda esigenza di verità, di sincerità, di moralità.
Per questo chi ha un vero grande innamoramento, nel rompere con i precedenti affetti, vive anche un drammatico dilemma morale. Un dilemma tanto più lacerante quanto più ricca è la sua personalità, più forte il suo senso del dovere. Più debole nelle personalità deboli, ambigue, che pensano solo a se stesse ed evitano le responsabilità. Per costoro l'innamoramento può addirittura essere il modo per fuggire da una situazione di crisi, di pericolo, lasciando gli altri nei guai. In questi casi possiamo parlare di innamoramento da fuga.
Mi viene in mente un artista che è sempre stato mantenuto dalla moglie che lo ha curato, protetto in ogni modo. Finché l'impresa della donna non viene travolta da una crisi economica. Lei deve vendere, gettarsi nel lavoro. Lui dovrebbe aiutarla, rinunciare alle abituali comodità, combattere al suo fianco. Non lo fa, si innamora di una giovane donna che lo guarda adorante e lascia la moglie e i figli nel bisogno. Certo anche questo innamoramento è un atto vitale, di sopravvivenza. Ma anche di viltà e di ingratitudine. Un altro caso è quello del finanziere che è riuscito a controllare un giro vertiginoso di affari e di imbrogli per oltre dieci anni. Quando il suo sistema finisce in pezzi e sta per andare in galera, si innamora di una giovane donna con cui fugge in un Paese straniero con i soldi che è riuscito a rubare. Un segno di energia, di vitalità, di astuzia, ma criminale.
Pensiamo poi ai casi di una coppia che è vissuta felice finché tutto è andato bene. Poi il marito si ammala, diventa invalido, un peso. E la moglie scappa dalle difficoltà innamorandosi di un uomo ricco, lasciando il marito solo e in miseria.
Bergson diceva che, all’interno di ogni cellula, di ogni molecola vivente, sta scritto l'imperativo categorico «sopravvivi». L’innamoramento come fuoruscita da una situazione bloccata, ricerca di una vita nuova, è sempre slancio di sopravvivenza. Ma l’essere umano è costruito anche di moralità e di responsabilità verso gli altri. La fuga, l’abbandono di chi è rimasto nel pericolo, nel dolore, nel bisogno, è in se stesso un tradimento della moralità dell’innamoramento che aspira a una vita non solo più felice, ma anche più nobile e più giusta.
È nella bufera dell’amore, nella guerra, nelle situazioni estreme, che emerge il reale valore di una persona. La sua ricchezza emotiva, la sua lungimiranza, il suo coraggio, la sua creatività, la sua forza morale.
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Tratto dal Corriere della Sera, in data 15 luglio 2002
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Quando i filosofi parlano della bellezza si riferiscono alla bellezza artistica, al quadro, alla scultura, al monumento, alla poesia. E ogni volta io resto deluso, perché è vero che l’arte spesso dà un’impressione di bellezza, ma non sempre. Vi sono quadri mostruosi, opere architettoniche che comunicano un’impressione di potenza o di mistero. Nella nostra vita quotidiana l’esperienza del bello ci arriva da mille fonti. Apriamo la televisione e vediamo il volto di bambini africani con i loro grandi occhioni sgranati. Sono bellissimi. Ma, subito dopo, in una pubblicità qualsiasi, ecco una semplice modella vestita con un abito da sera che si allontana mostrandoci il suo corpo stupendo. Mentre la bellezza degli occhi dei bambini appartiene al dominio della tenerezza, questa è erotica, eppure lontana dal sesso. Poi usciamo dal frastuono delle vie della città, dalle telefonate, dalle richieste sempre urgenti di fare questo e quello e, dal finestrino della macchina, guardiamo le montagne che stiamo attraversando. Sono grandi schiene coperte di boschi, prati sereni, cime lontane illuminate dal sole che tramonta. E siamo afferrati dal desiderio di fermarci lì, per sempre, a guardare.
Questa volta è la terra, la madre terra, e la sua bellezza produce nel nostro cuore uno struggimento. Perché non ci fermeremo, perché il sole tramonta, perché andiamo via.
Che cosa hanno in comune tutte queste esperienze di bellezza? Lo struggimento. La percezione di qualcosa di prezioso che ci sfugge. Un desiderio di azione che non può compiersi. Che cosa vorremmo fare con quei bambini, per quei bambini? Non lo sappiamo. Forse, se fossimo realmente con loro, non ci apparirebbero così belli, così desiderabili, così patetici, oppure ci metteremmo ad agire e non ne vedremmo più la bellezza. E se fossimo realmente in presenza della bellissima modella che si allontana da noi? Si volterebbe e, forse, il suo viso sarebbe irreparabilmente inferiore alla perfezione della sua schiena e del suo camminare. Oppure potrebbe essere stanca, sudata, irritabile come avviene sempre dopo le sfilate o le riprese. E del paesaggio montano? Basterebbe scendere dall’auto, sedere su un sasso polveroso e vedremmo tramontare il sole, allungarsi le ombre, svanire l’incantesimo e il desiderio di restare lì per sempre. La bellezza perciò è azione interrotta, incompiuta, tensione verso qualcosa che sta al di là. Quindi apparizione, visione fugace.
Qualsiasi cosa che ci appare bella è un rivelarsi, il tralucere di un «non sappiamo che» oltre il nostro mondo reale. Potremmo dire che è il giardino dell’Eden, dove tutte le cose avevano l’intensità, lo splendore e la perfezione della creazione appena compiuta. La bellezza è sempre apparizione, e quindi struggimento, e desiderio di fermare il tempo.
Per questo l’esperienza più intensa e più completa della bellezza l’abbiamo quando ci innamoriamo. Solo allora tutto ritorna bello come il primo giorno e ci viene concesso di vivere nella pienezza e nella perfezione dell’essere. Allora restiamo incantati, estatici davanti al nostro amato o alla nostra amata. Qualcosa di sacro a cui ci avviciniamo con gioia infinita, ma anche batticuore e rispetto. E anche se lo teniamo fra le nostre braccia, abbiamo sempre l’impressione di qualcosa di fuggevole, e torniamo a guardarlo una seconda e una terza e una millesima volta perché l’istante, per diventare eterno, deve replicarsi. Come la madre che si sveglia di notte per guardare se il suo bambino respira.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 24 febbraio 2003
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
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Noi non possiamo darci valore da soli. Sono gli altri che ci valutano, ci criticano o ci elogiano, ci amano o ci disprezzano, ci esaltano o ci abbassano. Perciò ci battiamo per emergere, per farci ammirare, desiderare, perché gli altri abbiano bisogno di noi. Per avere potere. Il potere infatti consiste nel soddisfare o non soddisfare i desideri di altre persone, dire di sì o di no, renderle felici o infelici. Tutti perciò lo cerchiamo. Nietzsche sostiene che alla base di ogni azione c’è la volontà di potenza. Hegel ci dice che ciascuno vuol essere il signore e rendere l’altro un servo. Secondo questi filosofi la vita è sempre e soltanto lotta di predominio. Fra nazioni, fra classi, fra partiti, fra imprese, fra individui. Anche nell’amore? Sì, secondo loro e secondo moltissimi altri come Rousseau, Sartre, Girard, anche nell’amore. Perché innamorarsi significa dipendere dall’altro, diventarne lo schiavo. La gente perciò deve averne paura, se ne deve difendere. Nel romanzo di Rousseau, Giulia decide di non sposare chi ama, ma uno che le è indifferente. Un famoso intellettuale mi diceva di aver sposato sua moglie soltanto quando è stato sicuro di non esserne più innamorato.
Io ho speso buona parte della mia vita a dimostrare che questa tesi è sbagliata. Certo, lo so che gli uomini vogliono e lottano per il potere. Lo so che la volontà di dominio si insinua anche nell’erotismo e nell’amore. Per molte persone la conquista amorosa è un modo per affermare la propria abilità, la propria volontà di potenza. Vi sono individui che ardono di passione per un altro finché non l’hanno conquistato, finché non ha detto di sì, dopo di che perdono ogni interesse. Altri che desiderano appassionatamente qualcuno solo se appartiene a un rivale a cui sottrarlo e, quando ci sono riusciti, l’amore svanisce di colpo. Ma esiste anche il vero innamoramento in cui due individui, incontrandosi, rinascono l’uno per l’altro in piena reciprocità. In cui ciascuno diventa a un tempo il padrone e il servo dell’amato. In cui entrambi si fondono fisicamente e spiritualmente, edificano insieme un progetto comune di vita.
Come questo possa avvenire è il «mistero dell’innamoramento». Solo chi capisce questo mistero può comprendere come dall’innamoramento possa nascere una coppia stabile e come siano possibili altre formazioni sociali che non hanno bisogno di un nemico, di guerra, di lotta per esistere. Il cuore di molti movimenti, partiti, gruppi religiosi è fatto da persone che si amano, che si aiutano reciprocamente, che sono pronte a morire l’una per l’altra e per la loro comunità.
Questa forza amorosa che sembra così meschina agli occhi dei filosofi della potenza è, in realtà, l’unica vera risorsa che ci aiuta a vivere, che ci consente di riposare sereni, di avere fiducia in qualcuno in una società dove tutto è lotta, inganno e sopraffazione. Se la capissimo meglio, se ne conoscessimo meglio i meccanismi, se la rispettassimo di più, se non la confondessimo con i sentimenti di dominio, sapremmo costruire istituzioni più giuste, famiglie più forti, e avere una vita più intensa, più armoniosa, più pulita.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 24 marzo 2003
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
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Possiamo ricavare un insegnamento confrontando due esperienze così diverse come la guerra e l’innamoramento? Cominciamo da alcune corrispondenze. Anche la guerra è passione, batticuore, attesa, angoscia, entusiasmo. Aumenta l’amore di patria, il senso di fratellanza al punto che ciascuno è pronto a dare la sua vita. La morte di uno dei nostri è come la morte di un nostro familiare. Metà della guerra, perciò, appartiene al territorio dell’amore. Coinvolto nella guerra, l’individuo viene assorbito dalla collettività. Il suo io si dilata in un’entità più grande, che lo fa sentire invincibile e annulla la paura della morte. Noi temiamo la morte quando siamo isolati, arretriamo con terrore davanti al pensiero impensabile di non esserci più. Nella collettività il nostro io perde di importanza. Nelle battaglie gli eserciti si fronteggiano impavidi fino al momento in cui una parte cede. Allora la forza dell’identificazione collettiva scompare e gli sconfitti, tornati individui isolati, fuggono in preda al panico abbandonando le armi. Anche l’innamoramento è una passione totale che assorbe ogni nostro pensiero. La persona amata diventa più importante di noi stessi e noi ci fondiamo con essa. Nasce così una collettività superiore ai singoli individui isolati, la coppia, ed essi trovano pace solo in essa. Anche nell’innamoramento scompare la paura della morte. Anche nell’innamoramento proviamo terrore e disperazione solo quando ci sentiamo abbandonati dall’altro, soli.
Qual è, allora, la differenza fra i due processi? Beh, qualcuno dirà, la guerra riguarda grandi collettività e l’innamoramento due soli individui. Ma vi sono anche guerricciole e faide fra due sole famiglie. Il punto da esaminare è un altro. Nella guerra la solidarietà, l’amore per i tuoi, dipendono dall’esistenza di un nemico. Scomparso il nemico, scompare l’amore. Freud ci ha spiegato perché accade. Noi, egli ci dice, siamo ambivalenti, proviamo rancori, invidie, risentimenti anche verso i nostri amici, i genitori, i fratelli, il marito o la moglie. Solo nella guerra l’ambivalenza scompare perché mettiamo tutto il bene, la solidarietà, l’amore, la giustizia nei «nostri» e proiettiamo tutto il male, tutta l’ingiustizia, sul nemico. Da una parte solo luce, dall’altra le tenebre. I sociologi hanno applicato questo modello a tutte le formazioni sociali e sostengono che la collettività resta unita e la fratellanza sociale dura soltanto finché c’è un nemico. Scomparso questo, svanisce.
L’innamoramento è importante perché ci dà la prova che questa teoria non è vera. Ci dimostra che può formarsi una comunità duratura, in cui ciascuno si dona all’altro, senza bisogno che ci sia un nemico. L’innamoramento è il più piccolo movimento che genera solidarietà, amore, altruismo per pure forze interne. Fenomeno che accade anche nei movimenti religiosi, soprattutto cristiani, in cui ci si converte senza che esista un nemico e si sta insieme e ci si prodiga con generosità per gli altri. Ma l’innamoramento è quello che possiamo sperimentare tutti, atei e credenti, e da cui nasce la coppia, la famiglia. Esso dimostra che possiamo liberarci dalla dannazione del conflitto e dell’odio.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 26 agosto 2002
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Ogni tanto sui settimanali, alla televisione riappare il tema del colpo di fulmine, dell'amore a prima vista. E molti si domandano se un amore che nasce in questo modo può durare. C'è chi dice di sì, che esiste l'amore a prima vista e chi invece sostiene che è solo una infatuazione momentanea. Cos'è allora il colpo di fulmine e che rapporto ha con l'innamoramento? Cerchiamo di rispondere. A tutti noi, maschi e femmine, capita, più o meno spesso, di essere colpiti, attratti da una persona che ci piace moltissimo. Un tempo erano gli uomini che si fermavano incantati a guardare una bella donna, o si voltavano quando passava. Oggi sono più le donne che guardano gli uomini belli e poi ne parlano fra loro come ad assaporarli. Ma non si può certo, in questi casi, parlare di colpo di fulmine.
Diverso è quando, vedendo una certa persona, o parlando con lei, ne restiamo veramente affascinati. Ci appare straordinaria, assolutamente unica, meravigliosa e siamo portati, irresistibilmente, a cercarla di nuovo, anche solo per rivederla, per parlarle. Pensiamo a lei per giorni e giorni e, più ci ritorna in mente, più ci sembra desiderabile. Non è più una ammirazione, è uno struggimento. E, ritrovandola, il desiderio si rinnova, si fa più intenso. Non possiamo allora dire che siamo innamorati? Che è amore a prima vista? Io sarei molto prudente. Ci sono tante forme di pseudo innamoramento, infatuazioni che poi svaniscono. Limitiamoci perciò a dire che, in questo caso, c’è stato certamente colpo di fulmine.
Ma non basta a fare l'innamoramento. La fascinazione, il colpo di fulmine, infatti, avviene quando cadono le nostre difese contro la possibilità di innamorarci. Innamorarsi significa arrenderci ad un altro, dipendere da lui, unire le nostre vite, cambiare, rischiare. Perciò noi ce ne difendiamo. Solo in certi periodi siamo disposti a farlo. Le esperienze di fascinazione sono perciò il sintomo che siamo disponibili ad innamorarci, a fonderci con un altro. Ma sono soltanto processi esplorativi, specie di colpi di sonda che noi lanciamo per vedere se troviamo ciò che cerchiamo.
Perché l'innamoramento proceda, occorre che l'altra persona sia veramente adatta, abbia il potere di svegliare le nostre potenzialità e di simbolizzare un nuovo futuro possibile. E occorre, soprattutto, che incominci il processo di fusione in cui ciascuno di noi rimette in discussione se stesso, riesamina la propria vita, e la racconta all'amato in modo che l'altro veda il mondo come noi stessi l'abbiamo visto. In questo modo entrambi, per tentativi ed errori, cerchiamo che cosa diventare, che tipo di vita e di esperienza realizzare insieme. E tutto questo non a freddo, ma a caldo, nello stato nascente, in una atmosfera ardente e sacra.
Anche nel vero innamoramento, perciò, abbiamo la fascinazione, il colpo di fulmine. E come! E non solo una volta, ma più volte. A mano a mano che il processo di innamoramento procede col suo vibrante succedersi di incertezze e di entusiasmo, di dubbi e di estasi, ogni tanto restiamo come incantati davanti alla persona che amiamo. E ci meravigliamo, riconoscenti, che quella creatura stupenda ci ricambi, ci ami. E questo tipo di colpo di fulmine si ripresenta, sia pure in modo meno frequente, anche nell'amore che dura per anni, decenni. Possiamo perciò dire che il vero innamoramento è caratterizzato dal succedersi di tanti colpi di fulmine rivolti alla stessa persona.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 30 dicembre 2002
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del Sociologo Francesco Alberoni
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E' più facile voler bene alle persone che hanno bisogno di noi oppure a quelle di cui noi abbiamo bisogno? Se pensiamo all'infanzia, dovremmo dire che vogliamo più bene a coloro di cui abbiamo bisogno. I bambini adorano i genitori perché dipendono totalmente da loro. Essi li curano, li proteggono, li nutrono, li rassicurano, li mantengono in vita. In seguito i ragazzi e le ragazze amano il loro cantante, il loro divo del cuore. E quando siamo innamorati, amiamo totalmente la persona di cui abbiamo assolutamente bisogno, l'unica al mondo che ci rende felici. Invece l'amore per coloro che hanno bisogno di noi ci sembra più pallido, freddo. Quanta gente ci chiede qualcosa, un favore, un aiuto, una raccomandazione, un consiglio! E quanti mendicanti, quante sottoscrizioni ci vengono proposte da innumerevoli associazioni per i malati di Aids, per le distrofie, la leucemia, i tumori, per i bambini, i vecchi, tutti i sofferenti del mondo. E, per quanto uno sia generoso, non può amare tutti coloro che hanno bisogno.
Può dare qualcosa, può aiutare, ma non amare. Ma siamo sicuri di amare davvero quelli di cui abbiamo bisogno? Coloro che si trovano nella posizione di darci o negarci il loro aiuto? Pensiamoci bene. Noi siamo alla loro mercé, li guardiamo pieni di speranza ma anche di apprensione. In questo periodo, in cui vivo in mezzo a registi ed attori, mi rendo conto di come essi si battano con passione e tenacia per realizzare i loro sogni. Ma quanti tentativi devono fare, a quante porte devono bussare! E alternano speranza e apprensione, gioia e sconforto. Solo quando l'opera va a buon fine esplode l'esultanza, la riconoscenza, un vero e proprio slancio d'amore. D'altronde anche nell'innamoramento è vero che amiamo la persona di cui abbiamo disperato bisogno, l'unica che ci dà felicità. Ma se lei non ci vuole, se ci respinge, l'amore si trasforma in disperato dolore, talvolta in odio. Certo, noi amiamo coloro di cui abbiamo bisogno, ma solo se ci danno ciò che chiediamo.
E quanto tempo dura questo amore? Tutti conosciamo donne e uomini che si sono sacrificati per il coniuge e poi sono stati lasciati senza una traccia di rimorso e di riconoscenza. Nel mondo universitario, dove la carriera si svolge in uno sfibrante succedersi di concorsi in cui dipendi sempre da un protettore, ho visto poco amore e molta ingratitudine. E lo stesso nelle imprese. La gente vuol convincersi di aver ottenuto tutto per merito suo. Soprattutto i mediocri. I grandi hanno in sé tanta forza da essere capaci di riconoscere cosa hanno ricevuto, i mediocri mai. Concludendo: raramente amiamo coloro di cui abbiamo bisogno. E nemmeno coloro che ci hanno aiutato.
Spesso è più facile amare qualcuno che ha bisogno di noi. Non la persona astratta propostaci dalle associazioni caritatevoli. La persona vera, concreta, il «prossimo». Il bambino che trovate piangente in mezzo alla strada e che prendete in braccio come se fosse il vostro. L'amico che ti confida le sue pene segrete e tu combatti al suo fianco. Il ragazzo che desidera imparare e che beve le tue parole. Il giovane che lotta per realizzare un suo progetto, un suo ideale e ti coinvolge con il suo entusiasmo, ti commuove con la sua speranza in te. Allora sei disposto a farti in quattro per lui. Ma anche il cane che, dopo anni in cui sei stato assente, ti fa festa e aspetta che tu lo accarezzi. Tutto ciò che suscita tenerezza e pietà, tutto ciò che è vita e si rivolge a te con fiducia.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 8 luglio 2002
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Ci sono due tipi di seduzione. La prima è quella divistica. Che è più importante per le femmine perché sono eroticamente attratte da chi eccelle, da chi è ammirato, desiderato da tutti. E' il riflesso di un antico istinto biologico per cui la femmina sceglie il maschio che emerge, il più forte, il più coraggioso, il più astuto, quello che prevale sugli altri e li scaccia. In questo modo si procura il patrimonio genetico maggiormente pregiato. Oggi i maschi non competono fisicamente, ma simbolicamente. E sono più desiderati coloro che emergono per ricchezza, potere, bellezza o fama. Un tempo il cavaliere nella sua splendente uniforme poi, con il diffondersi del cinema, il divo dello schermo, come Rodolfo Valentino. In seguito, con il costituirsi di una cultura adolescenziale, i divi rock per cui impazziscono le ragazzine.
Oggi i personaggi televisivi che dominano lo schermo anche solo per qualche mese. In tutti costoro la potenza seduttiva deriva dalla notorietà. Se non sapesse chi è, quella stessa donna che guarda adorante il suo divo, non gli rivolgerebbe uno sguardo. Certo anche i maschi desiderano le attrici, le ballerine, le veline, le cubiste delle discoteche, ma la loro attrazione è spesso puramente erotica, superficiale, raramente diventa passione.
Il secondo tipo di seduzione invece non ha nulla a che fare con il divismo. E' fondata sull'individuo, sulle sue capacità personali. Ci sono maschi e femmine che esercitano una attrazione erotica quasi irresistibile.
Incominciamo dai maschi. Il grande seduttore è un uomo profondamente attratto dalla femminilità, che ama veramente le donne. In ciascuna riesce a vedere qualcosa di straordinario, di unico, di desiderabile, e glielo dice, glielo fa sentire. Anche quando si trova in mezzo a un gruppo di quattro o cinque donne, comunica loro una sorta di eccitamento, una vibrazione e ciascuna si sente la prescelta. Quando parla a una donna, quando la guarda, la fa sentire avvolta dal suo desiderio, dalla sua ammirazione, e sollevata in alto come una dea. Egli si mostra sempre forte, sicuro di sé ma, nello stesso tempo, sa diventare dolcissimo, delicato. La sua parola è suadente, rassicurante, poetica, ipnotica.
Ricordiamo che la seduzione è possibile perché, nel profondo, proviamo piacere nell'essere sedotti. Ci piace sentirci eccitati, sentir crescere dentro di noi il desiderio, poi cercare di resistere e, infine, dimenticare i doveri, abbandonarci, cedere senza più pensare.
Anche la grande seduttrice fa sentire l'uomo importante, desiderabile, unico. Ma non basta. Ne eccita l'erotismo. Lo stimola con l'abbigliamento, i gesti e il sottile gioco dello scoprirsi e del coprirsi. Poiché l'erotismo maschile è visivo, più che comunicargli emozioni, gli evoca immagini. Gli racconta cosa ha fatto in modo che lui la veda in una festa, su una barca, corteggiata, desiderata, o in casa, in attesa, desiderabile. Sa bene che gli uomini, anche se oggi sono più incerti e deboli di lei, sognano sempre una donna fragile da difendere lottando contro un drago o contro un avversario che la insidia.
Ma deve stare attenta a giocare con la gelosia. Perché vi sono due tipi umani opposti. Alcuni ne sono eccitati. Desiderano una donna finché c'è un rivale a cui strapparla e, quando sono sicuri di possederla, perdono ogni interesse. Ma altri, al contrario, temono la gelosia e, se vengono fatti ingelosire, spariscono.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 5 agosto 2002
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
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Sono rimasto molto colpito quando in tv ho visto il padre di un giovane appena ucciso dire che perdonava l'assassino. Forse dal punto di vista cristiano è giusto, è sublime, ma io so che non avrei saputo, né voluto, farlo. Non per spirito di vendett a e nemmeno di giustizia. Per una ragione più elementare, perché ritengo che si debba e si possa perdonare solo chi si pente, solo chi chiede perdono.
Nella parabola del Figliol prodigo il padre corre incontro al figlio, ma questi si butta ai suoi pi edi e dice: «Padre ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Gesù perdona Maddalena perché ha fede, rimette i peccati quando il peccatore è pentito. Ma perché io debbo perdonare un assassino che, me ntre lo perdono, forse si compiace con se stesso di ciò che ha fatto o se ne vanta con i suoi complici? Perché devo perdonare un mafioso che ha sciolto nell' acido un bambino e, con questo gesto, ha rafforzato la sua potenza di capo inflessibile? Perché devo perdonare un individuo spietato che mi ha tradito, ingannato, perseguitato, ha perseguitato mia moglie, i miei amici, i miei figli e continua a farlo? Come fanno gli ebrei a perdonare Hitler che voleva sterminarli fino all' ultimo? Come fann o le famiglie degli ufficiali polacchi a perdonare Stalin che li ha fatti uccidere?
Per perdonare occorre che chi ha compiuto la nefandezza si penta, e lo dica, ci convinca che il suo pentimento è vero e chieda perdono. Occorre che provi rimorso. Il rimorso è la nostra reazione primordiale, di esseri umani, all'aver contribuito, in qualsiasi modo, a fare del male a qualcun altro. Lo proviamo perfino quando abbiamo fatto del male in modo involontario. L'alpinista prova rimorso per l' amico che è precipitato perché si è spezzata la corda. Il rimorso è la prova che, nel profondo del nostro essere uomini, c'è scolpita, indelebile, la conoscenza del bene e del male. E il rimorso non si spegne col tempo, nemmeno quando l'altro ci ha perdonato. Da anziani proviamo rimorso per azioni compiute sconsideratamente da giovani.
Il rimorso ci impone un radicale pentimento, ci spinge a voler espiare, a compiere un'azione realmente riparatrice. Solo di fronte al rimorso il perdono è possibile. Anzi è dovuto, per quanto straziante sia stato il nostro dolore. Perché porta il colpevole sul nostro stesso piano, gli fa provare dolore per averci arrecato dolore. E la sua sofferenza si svolge parallela alla nostra. Il suo rimorso non annulla il nost ro soffrire. Ma ci accomuna nello stesso dolore, ci affratella nello stesso pianto. Alla fine dell'Iliade Achille piange con il vecchio re Priamo a cui ha ucciso il figlio, e il poema epico diventa tragedia umana.
Di fronte al rimorso e al pentimento sincero perciò dobbiamo perdonare. Se non lo facciamo scegliamo la via della vendetta. La vendetta ci inchioda al passato, al momento dell' atto compiuto dal malvagio. Ci costringe ad essere com'era lui allora. La vendetta blocca la nostra capacit à di mutare, di rinnovamento. Le persone vendicative sono ossessionate, dannate. E se la vendetta si installa nella società, l'avvelena e la dilania con una malvagità che può durare decenni, secoli e che nessuno riesce a spegnere. Pensiamo alle sanguinose faide famigliari, all'odio religioso in Irlanda, a quello etnico in Ruanda e in Burundi. Dove non riesce il perdono, odio chiama odio, sangue chiama sangue, senza fine.
Tratto dal Corriere della Sera, in data7 ottobre 2002
- l'Editoriale PUBBLICO E PRIVATO
del Sociologo Francesco Alberoni
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L’innamoramento è diventato la base della famiglia solo negli ultimi secoli quando gli individui hanno potuto lasciare la famiglia estesa, spostarsi, trovarsi un lavoro con cui mantenere la coppia e i figli. Ma continuerà ad essere importante anche nel futuro? Sono in atto dei processi che operano in senso contrario. Innanzitutto l’aumento della vita media. In un periodo in cui la vita media era di 40 anni, due persone avevano un’alta probabilità di restare uniti fino alla morte, anche perché avevano numerosi figli che dipendevano totalmente dalla loro assistenza. Oggi però la vita media dell’uomo è sui 76 anni, quella della donna 82, la probabilità che il matrimonio duri così a lungo diminuisce. Le donne hanno meno bambini e, grazie al lavoro e alla carriera, possono fare a meno di un marito. In Inghilterra la percentuale dei figli che nascono fuori dal matrimonio è del 40% e in Svezia raggiunge addirittura il 55%. Vi sono poi dei fattori che incidono sul processo stesso di innamoramento. In Occidente sono sempre più facili e frequenti, anche in giovane età, incontri erotici senza innamoramento. E diventano più numerose le relazioni in cui il processo di innamoramento resta nelle fasi iniziali. L’innamoramento infatti non è una emozione, è un processo sociale che genera una nuova comunità solidale. Ma lo fa solo se gli innamorati mettono insieme i loro sogni, i loro desideri profondi, esplorano insieme se stessi ed il mondo e creano un progetto comune di vita. Oggi questo processo viene facilmente interrotto, la fusione non arriva agli strati profondi, e non nasce quel tipo di intimità e di amore stabile che consente alla coppia di durare a lungo.
Sono sempre più numerose le persone, e non solo donne, che nel matrimonio cercano l’ebbrezza della passione, la frenesia del desiderio, una intensa e travolgente esperienza erotica. Quando questa emozione scompare, poiché hanno ben poco in comune con l’altro e non hanno elaborato un erotismo più delicato e raffinato, pensano che il matrimonio sia fallito. Allora corrono subito alla ricerca di un’altra passione che le faccia fremere, vibrare. Ma anche questa rapidamente finisce e così passano da un matrimonio all’altro sempre più insoddisfatte.
Dobbiamo allora concludere che l’innamoramento sta per scomparire? No di certo. Esso rimane ancora oggi l’esperienza amorosa cruciale della vita occidentale. E resta centrale e cruciale per lo sviluppo della stessa personalità individuale. Ogni individuo, infatti, vuol avere un valore, essere considerato unico ed inconfondibile.
Ci sono due sole situazioni in cui egli ha la possibilità di vivere questa esperienza. Quando diventa genitore agli occhi dei figli. E nell’innamoramento quando diventa l’essere più prezioso e desiderabile del mondo per la persona che, ai suoi occhi, è la più preziosa e desiderabile fra tutte.
Sta inoltre avvenendo un processo completamente nuovo. La coppia fondata sull’innamoramento è nata in Occidente e per molto tempo è rimasta confinata in Occidente. In altre società non esisteva. Per esempio nelle comunità tribali africane dove l’individuo non ha una sua autonomia. In India dove le barriere di casta impedivano l’innamoramento intercastale. O in Cina dove ha sempre dominato il costume. Ma in tutti questi Paesi l’individuo sta conquistando la sua autonomia e la sua libertà. E, con la libertà, la possibilità di innamorarsi. L’innamoramento, da fenomeno occidentale, sta diventando planetario.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 5 agosto 2002
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Ci sono uomini che desiderano essere amati.Vogliono sentirsi circondati d'affetto,apprezzamento e cercano di ottenerlo con la gentilezza, il sorriso,aiutando gli altri. Quando vengono attaccati e accusati si domandano,per prima cosa, che cosa hanno fatto di male,dove hanno sbagliato. Se dite loro che qualcuno li odia e li perseguita, restano stupiti e increduli perché non sanno provare quel tipo di sentimenti. Non sanno nemmeno immaginarli. Questo non vuol dire che siano deboli. Spesso sanno combattere coraggiosamente, ma in una gara in cui non c’è
odio, come nello sport o nella concorrenza. Chi gareggia nello sport,
chi si batte nella concorrenza, vuol superare l'altro, vuol vincere
ed esulta quando ci riesce. Ma non considera l'avversario un nemico. Se è stato bravo lo ammira, è il primo elogiarlo.
Vi sono invece uomini che vedono nell ’altro un nemico da colpire, screditare, ferire, uccidere con ogni mezzo. Il nemico, differenza dell'avversario, i loro occhi cessa di essere un uomo con un valore e una dignità. Diventa una astrazione, una entità di cui ti devi sbarazzare come il soldato in guerra che spara contro l’altro senza domandarsi chi sia, che cosa faccia, e vuole solo ucciderlo, farlo sparire. E c'è un grado più profondo di odio che non si accontenta di uccidere il nemico: vuole smembrarlo, vederlo soffrire. Molti bassorilievi assiri mostrano i guerrieri che, conquistata una città, tagliano le braccia, le gambe, il naso ai prigionieri, oppure li scuoiano vivi. Anche in questo caso non vedono più la loro individualità. Torturano chi capita, senza criteri di scelta,senza motivo, per pura distruzione. Cose del passato, si dice. Sul piano fisico certo, ma non sul piano psicologico e morale. La nostra società è piena di odio, soprattutto politico. Odio mascherato dalla cortesia, odio ipocrita. E ci sono anche da noi personaggi che infieriscono sul vinto, lo perseguitano spietatamente. Solo che non ne parliamo, non facciamo nomi.
Per nostra fortuna, la maggior parte delle persone appartiene al primo tipo, quelli che sono incapaci di odiare,che non riescono nemmeno immaginare che cosa passa nella mente dei malvagi con cui spesso lavorano fianco fianco.
Ma che cosa rende alcuni individui particolarmente violenti, particolarmente capaci di odio? Non il patrimonio genetico. Ma il tipo di vita che hanno condotto, il tipo di ambiente sociale, culturale, politico in cui hanno vissuto. Chi è nato in un mondo di vendette e di tradimenti, come negli ambienti di mafia, vedrà sempre attorno sé nemici e,conoscendone la ferocia, imparerà essere feroce. Lo stesso capita coloro che sono cresciuti in un partito o in un movimento in cui èammessa ogni forma di propaganda menzognera verso il nemico. Troveranno sempre naturale mentire. Allo stesso modo,chi ènato e vissuto in un regime poliziesco in cui il nemico viene arrestato e condannato troverà naturale farlo.
Per questo è così difficile creare una vera tolleranza democratica nei Paesi lacerati da odii etnici, religiosi, politici, da ideologie totalitarie. Sono cose che lasciano un segno profondo negli animi, avvelenano la psiche per generazioni. Le persone cresciute in questo modo, anche dopo molti anni, continuano ad avere un demone che sonnecchia in loro. Controllati sul lavoro, affettuosi in famiglia, gentili con amici e conoscenti, basta che scatti la motivazione adeguata e il demone si risveglia. I loro occhi diventano di ghiaccio, le loro parole rabbiose, i loro comportamenti feroci.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 24 marzo 2003
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Possiamo ricavare un insegnamento confrontando due esperienze così diverse come la guerra e l’innamoramento? Cominciamo da alcune corrispondenze. Anche la guerra è passione, batticuore, attesa, angoscia, entusiasmo. Aumenta l’amore di patria, il senso di fratellanza al punto che ciascuno è pronto a dare la sua vita. La morte di uno dei nostri è come la morte di un nostro familiare. Metà della guerra, perciò, appartiene al territorio dell’amore. Coinvolto nella guerra, l’individuo viene assorbito dalla collettività. Il suo io si dilata in un’entità più grande, che lo fa sentire invincibile e annulla la paura della morte. Noi temiamo la morte quando siamo isolati, arretriamo con terrore davanti al pensiero impensabile di non esserci più. Nella collettività il nostro io perde di importanza. Nelle battaglie gli eserciti si fronteggiano impavidi fino al momento in cui una parte cede. Allora la forza dell’identificazione collettiva scompare e gli sconfitti, tornati individui isolati, fuggono in preda al panico abbandonando le armi. Anche l’innamoramento è una passione totale che assorbe ogni nostro pensiero. La persona amata diventa più importante di noi stessi e noi ci fondiamo con essa. Nasce così una collettività superiore ai singoli individui isolati, la coppia, ed essi trovano pace solo in essa. Anche nell’innamoramento scompare la paura della morte. Anche nell’innamoramento proviamo terrore e disperazione solo quando ci sentiamo abbandonati dall’altro, soli.
Qual è, allora, la differenza fra i due processi? Beh, qualcuno dirà, la guerra riguarda grandi collettività e l’innamoramento due soli individui. Ma vi sono anche guerricciole e faide fra due sole famiglie. Il punto da esaminare è un altro. Nella guerra la solidarietà, l’amore per i tuoi, dipendono dall’esistenza di un nemico. Scomparso il nemico, scompare l’amore. Freud ci ha spiegato perché accade. Noi, egli ci dice, siamo ambivalenti, proviamo rancori, invidie, risentimenti anche verso i nostri amici, i genitori, i fratelli, il marito o la moglie. Solo nella guerra l’ambivalenza scompare perché mettiamo tutto il bene, la solidarietà, l’amore, la giustizia nei «nostri» e proiettiamo tutto il male, tutta l’ingiustizia, sul nemico. Da una parte solo luce, dall’altra le tenebre. I sociologi hanno applicato questo modello a tutte le formazioni sociali e sostengono che la collettività resta unita e la fratellanza sociale dura soltanto finché c’è un nemico. Scomparso questo, svanisce.
L’innamoramento è importante perché ci dà la prova che questa teoria non è vera. Ci dimostra che può formarsi una comunità duratura, in cui ciascuno si dona all’altro, senza bisogno che ci sia un nemico. L’innamoramento è il più piccolo movimento che genera solidarietà, amore, altruismo per pure forze interne. Fenomeno che accade anche nei movimenti religiosi, soprattutto cristiani, in cui ci si converte senza che esista un nemico e si sta insieme e ci si prodiga con generosità per gli altri. Ma l’innamoramento è quello che possiamo sperimentare tutti, atei e credenti, e da cui nasce la coppia, la famiglia. Esso dimostra che possiamo liberarci dalla dannazione del conflitto e dell’odio.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 2 giugno 2008
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Come sta cambiando il processo di innamoramento, la coppia? Per rispondere ricordiamo che l’innamoramento è la formazione, a caldo, di una nuova comunità, la coppia, che si proietta piena di speranza ed entusiasmo nel futuro. L’innamoramento, nel suo stato nascente, è «per sempre». Ma la forza che spinge due persone a fondersi è sempre controbilanciata dalla tendenza opposta che spinge ad affermare la propria personalità ed i propri interessi.
Nella adolescenza e nella prima giovinezza i ragazzi e ragazze hanno un grande bisogno di affermare la propria indipendenza e cercare la propria strada. Perciò il loro desiderio di fusione amorosa si scontra con quello di individuazione. Ciascuno desidera amare ed essere amato, ma ha anche a paura di farsi plagiare, modellare dall’altro. Al primo serio dissenso, al primo vero dissapore si lasciano, provano con un altro. Ma l’innamoramento o c’è tutto o non c’è per nulla. O l’altra è veramente la persona che corrisponde miracolosamente alla totalità dei tuoi desideri, l’unica che non puoi nemmeno immaginare di perdere, oppure non è niente. È uno che ti piace, con cui stai bene, con cui fai all’amore, con cui ti diverti, ma che puoi sempre cambiare con chi ti sembra meglio.
Ma su questa base non si costituisce nessuna coppia, nessuna convivenza, nessun matrimonio. Molti ragazzi e soprattutto molte ragazze si innamorano profondamente verso i 18-20 anni. Le ragazze di solito quando l’uomo ha alcuni anni più di loro. Ma spesso non sanno gestire, coltivare, approfondire il loro rapporto creando quell’intimità amorosa che rende il legame indistruttibile. Così litigano, si separano e si riconciliano, oppure rompono pensando che poi tanto potranno trovare un altro amore intenso come quello. Ma non è così. Ci si innamora solo poche volte nella vita. L’incantesimo non si ripete. Incomincia allora una ricerca che porta ad una nuova delusione.
La fragilità della coppia giovane si ripercuote sulle esperienze successive. Perché viene meno la fiducia di base sull’amore. Ciascuno pensa che il nuovo amore potrà finire nello stesso modo. Nasce così un amore prudente, circospetto, che non ha il coraggio di gridare la sua esclusività, che ha paura di pensarsi «per sempre». Un amore pronto a fare due passi indietro al primo ostacolo, alla prima incomprensione. Fragile, malaticcio. Tutto il contrario di ciò che dovrebbe essere: generoso, ardente.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 7 aprile 2008
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del Sociologo Francesco Alberoni
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Molti sono convinti che maschi e femmine oggi siano diventati simili. E' vero nello studio, nelle professioni, negli affari, in politica, ma non nel campo delle emozioni. Per esempio i maschi, soprattutto quelli giovani sono molto violenti. Sono sempre loro i killer della malavita, i protagonisti delle rapine, degli stupri, delle violenze domestiche, delle devastazioni nelle scuole, degli scontri politici, di quelli negli stadi e delle liti nelle discoteche. E' come se avessero bisogno, ogni tanto, di una guerra. Fra di loro non parlano d'amore, non si occupano delle storie sentimentali degli altri. Personalmente non ho mai ricevuto una lettera da un uomo di quaranta o cinquant'anni in cui scrive che sente la mancanza di passione e desidera qualcuno che gli faccia provare ancora il batticuore. Ne avrò ricevute mille dalle donne. La donna invece sogna l'amore, l'abbraccio appassionato, l'intimità prolungata, deliziosa con l'uomo che la ama. Le piace parlare d'amore, sa tutto sugli amori, i matrimoni, i divorzi delle amiche, degli amici e dei divi. Non ha paura di innamorarsi e, quando si innamora, diventa più bella. Gli uomini si difendono dall'innamoramento, ne sono sempre sorpresi, e talvolta lo vivono come una malattia. Di solito è la donna che con il suo calore, la sua serenità, la sua dedizione, li rassicura ed insegna loro ad abbandonarsi. Le ragazzine sono capaci di amare per anni un divo dello schermo e del rock. E non si tratta di attrazione sessuale come capita ai loro compagni maschi, si tratta proprio di amore. Per lui farebbero qualsiasi cosa e sarebbero delle mogli fedeli. Ma anche quando hanno rapporti sessuali facili ed escono la sera per «rimorchiare qualcuno», nel profondo, attraverso il sesso, cercano sempre un uomo da amare. Inoltre, a differenza del maschio, la donna innamorata è fedele perché prova l'orgoglio di dire di no a tutti gli altri per essere esclusivamente dell'unico uomo che merita il suo amore, il suo cuore e il suo corpo, il giardino profumato che si apre solo per lui. Ed è capace di amare a lungo un uomo aspettando il momento in cui lui si accorge di lei e si innamora a sua volta. Per questo se una donna vuole veramente qualcuno, quasi sempre riuscirà ad averlo. Anche gli uomini sono capaci di amore prolungato e sanno essere fedeli, però solo quando sono soddisfatti e si sentono molto amati. Perciò è la donna che tiene in vita la coppia. Se cede lei, tutto finisce.
Tratto dal Corriere della Sera, in data 19 maggio 2008
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del Sociologo Francesco Alberoni
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C'è sempre un momento in cui veniamo colpiti, gettati a terra. Il trauma, qualunque sia la sua natura — perdere
il posto, il tradimento di un amico, una malattia — arriva sempre inatteso. E reagiamo con incredulità e stupore.
Un esempio: eravamo raffreddati, una disattenzione poi improvvisamente la febbre, complicanze al cuore, forse.
Dapprima lo rifiutiamo, non vogliamo veder svanire in un istante il futuro a cui eravamo preparati, i nostri
affari, le scadenze, le vacanze. E lo stesso avviene se perdiamo il posto, se perdiamo chi amiamo. All'inizio
pensiamo sia un incubo da cui possiamo svegliarci. Poi comprendiamo che quella è la realtà in cui dovremo vivere.
È come se fossimo piombati in una foresta sconosciuta piena di pericoli mortali.Come facciano a reagire al trauma?
Cosa dobbiamo fare quando siamo smarriti in una foresta? C'è una sola strada: accettare la nuova realtà, capirla,
adattarsi ad essa, imparare a muoversi nell'ignoto. Guai a voler conservare le abitudini di un tempo, a farsi
prendere dal rimpianto del passato. Dobbiamo imparare rapidamente a vivere nel nuovo ambiente, diventarne degli
abitanti e usare tutte le nostre capacità, la nostra intelligenza, la nostra tenacia per uscirne. E mettere a
frutto le virtù, le qualità che possediamo: il coraggio, la forza d'animo, l'ottimismo, la speranza per non
arrenderci, guardare avanti, agire. Qualcuno dice che il coraggio non ce lo possiamo dare. È falso. Il coraggio
si coltiva, si esercita. E lo stesso vale per tutte le altre virtù come la vigilanza, la tenacia, l'ottimismo, la
speranza. Pensiamo ai prigionieri sopravvissuti nei gulag, alle persone mutilate, paralizzate, che hanno saputo
condurre una vita felice, ai malati che hanno superato malattie spaventose, alle persone che hanno trovato l'amore
dopo decenni.
Ma come è difficile fare da soli. Abbiamo bisogno di un soccorritore che ci faccia da guida, ci sorregga, ci aiuti.
Qualcuno che, quando cediamo presi dallo sconforto, ci rincuori e ci dica che ce la faremo. Che, quando siamo
passivi agisca al nostro posto. E su chi possiamo contare? Su chi ci ama. Fortunati gli innamorati perché l'amore
ha il divino potere di annullare la paura. Essi sono felici di stare insieme in qualsiasi circostanza e di fare
qualsiasi cosa l'uno per l'altro. Il loro cuore è sereno anche quando cercano la strada, anche nelle difficoltà.
E quando dalla foresta incominciano ad intravedere la luce cantano, perché sono sempre pieni di speranza.