CONGEDI PARENTALI
Il lavoratore,puo essere licenziato se non assiste il figlio.
MARA PARPAGUONI
La Cassazione ha stabilito che il lavoratore che abbia ottenuto il congedo parentale può essere licenziato, ove risulti
che non abbia assistito personalmente il figlio (Cass. 16 giugno 2008, n.
16207) .Il caso deciso dalla Suprema Corte prende le mosse dall'articolo 32 del dlgs n.151 del 2001, secondo
cui nei primi 8 anni di vita del bambino, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro. Tale diritto
compete alla madre, trascorso il congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore
a sei mesi, e al padre, dalla nascita del figlio,anch'esso per un periodo continuativo o frazionato non superiore
a sei mesi. Il congedo parentale spetta al genitore che ne fa richiesta, anche quando l'altro genitore non ne ha
diritto. Ai fini dell'esercizio del diritto il genitore è tenuto, salvi i casi di oggettiva impossibilità, a
preavvisare il datore secondo modalità e criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque,con un periodo
di preavviso non inferiore a 15 giorni. Per il periodo di congedoparentale è dovuta dall'Inps un'inden-nità,
calcolata in misura percentuale
sulla retribuzione secondo le modalità previste per il congedo di maternità.
Nel caso specifico, l'azienda aveva accertato che nel periodo di congedo il proprio dipendente si era dedicato
in realtà alla gestione di una pizzeria con asporto acquistata dalla moglie e lo ha sottoposto a procedimento
disciplinare,
con l addebito di aver fatto uso improprio del congedo. il lavoratore si è difeso sostenendo di aver provveduto,
lavorando nella pizzeria, a soddisfare le esigenze organizzative della famiglia.
L 'aziendalo ha licenziato per giusta causa e illavoratore ha impugnato il
provvedimento davanti al tribunale. Quest'ultimo ha rigettato il ricorso, il quanto ha ritenuto cheil congedo
parentale debba essere utilizzato per assistere i figli. La Corte d'appello ha riformato questa decisione, annullando
il licenziamento e ordinando la reintegrazione del lavoratore,
perchè ha ritenuto che unica condizione per l' esercizio del diritto al congedo parentale sia il suo collegamento
con le esigenze organizzative della famiglia nei primi anni di vita del
bambino; era pertanto del tutto irrilevante accertare se il lavoratore si fosse occupato anche della cura della
figlia e se l'attività da lui svolta nell'azienda intestata alla moglie fosse non continuativa.
L' azienda ha proposto ricorso percassazione, censurando la decisione della Corte d' appello. La Suprema Corte
ha accolto la domanda, rinviando la causa per nuovo esame alla Corte d'appello, enunciando il seguente principio
di diritto a cui i giudici di secondo grado dovranno attenersi: "L' articolo 32 del dlgs 26 marzo 2001 n. 151, nel
prevedere che il lavoratore possa astenersi dallavoro nei primi 8 anni di vita del figlio, percependo dall'ente
previdenziale un'indennità commisurata a una parte
della retribuzione, configura un diritto potestativo che il padre-lavoratore può esercitare nei confronti del
datore di lavoro, nonche dell' ente tenuto all'erogazione dell'indennità,onde garantire con la propria presenza
il soddisfacimento dei bisogni affettivi delbambino e della sua esigenza di un pienoinserimento nella famiglia;
pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività
lavorativa, si configura un abuso per sviamento della funzione propria del diritto, idoneo a essere valutato dal
giudice ai fini della
sussistenza di una giusta causa di licenziamento".