LICENZIAMENTO RITORSIVO
Il dirigente apicale ha diritto alla reintegra.
MARA PARPAGUONI
Con un'interessante sentenza,il tribunale di Roma ha stabilito che il dirigente apicale licenziato per ritorsione a
seguito di un'azione giudiziaria da lui promossa, ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, in base
all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (tribunale di Roma del 3 luglio 2008, n.11767). Il caso specifico
sottoposto all'esame del giudice di prima istanza dellcapitale è quello di un top manager alldipendenze dell 'Eni
Spa, privato nel maggio del 2000 dell'incarico di direttore del ,personale e dell'organizzazione, una delle
posizioni più elevate nel gruppo. Questi, essendo stato destinato a ricoprire incarichi di minor rilievo presso
alcune società controllate, aveva presentato nel mese di luglio del 200S davanti al giudice del lavoro di Roma un
ricorso diretto aottenere la condanna dell 'Eni a riassegnargli le mansioni di dirigente e a risarcirgli i
danni subiti a causa del demansionamento. In particolare, il dirigente, nelle proprie difese, faceva presente di
essere stato escluso, per effetto della dequalificazione, dagli aumenti di retribuzione
conseguiti dai top manager del gruppo.
Ricevuta la notifica del ricorso, l'Eni licenziava il dirigente. L' azienda motivava la propria decisione sostenendo
che il contenuto dell'atto giudiziario era caratterizzato da apprezzamenti negativi sull' organizzazione delgruppo,
tali da far venir meno il rapporto fiduciario e determinava inoltre l'impossibilità di mantenerlo in servizio.
Il dirigente impugnava il licenziamento con un secondo ricorso al tribunale di Roma, sostenendo che il
prowedimento doveva ritenersi nullo,perche viziato da motivo illecito, consistente nelle natura ritorsiva dello stesso.
Riunite le cause (quella per
il demansionamento e quella per il licenziamento) e sentiti alcuni testimoni, il tribunale dichiarava nullo il
licenziamentoe ordinava la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro con rincarico di direttore del personale e
dell'organizzazione, oppure in altro posto con mansioni equivalenti.
Non solo. Il tribunale condannava l'Eni a corrispondere al dirigente, a titolo di risarcimento del danno
conseguente al licenziamento nullo, la retribuzione relativa al periodo successivo al recesso, oltre al risarcimento
del danno patrimoniale da demansionamento per la perdita di possibilità di maggiori guadagni.
Nella motivazione della sentenza, il giudice di primo grado richiamava la giurisprudenza della Suprema Corte di
Cassazione, secondo la quale la ritorsione a un'azione giudiziaria costituisce motivo illecito, che
comporta la nullità degli atti da esso viziati, in quanto essa non è altro che una forma di vendetta, aggravata
per altro dal fatto di dirigersi contro l'utilizzazione di uno strumento (azione giudiziaria) che l'ordinamento prevede
esplicitamente peri propri consociati e che è finalizzato alla
risoluzione pacifica delle contese. Il tribunale della capitale affermava anche l'applicabilità al caso in esame
dell'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, nonostante
la posizione di dirigente apicale ricoperta dal ricorrente, in quanto riteneva che,secondo le disposizioni
dell' articolo 3 della legge 11/3/1990 n.108,la tutela reale (che comporta la reintegrazione), incaso di
licenziamento discriminatorio si applica anche ai top manager, per i quali non è normalmente prevista,
non soltanto a prescindere dal cosiddetto requisito dimensionale dei 15 dipendenti stabilito dallo
stesso Statuto dei lavoratori.